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La liturgia della Vaccinazione

Sono passati ormai quasi cinque mesi da quando ho compiuto quel rito chiamato Vaccinazione.

Erano i tempi spensierati in cui ancora non ci rendevamo conto che ci saremmo progressivamente divisi e schierati in sivax contro novax. 

Al tempo quel rito era ancora un atto spontaneo e spirituale, senza alcuna pressione, costrizione o ricatto. Nello scaglione della mia fascia di età  fui tra i primi a farlo.

Arrivo in questa enorme cattedrale laica che è il centro vaccinale. All’ingresso trovo un dipenser di gel antisettico, moderna e tecnologica acquasantiera. Una pausa per un atto di auto-purificazione prima di varcare la soglia.

All’interno persone sedute, in silenzio, in ordinate file di posti rivolti nella direzione di quella sorta di altare bianco in cui si compirà  il rito.

Prima del rito però c’è un passaggio obbligato: il colloquio a tu per tu con un camice bianco, un medico donna nel mio caso. Alle domande del camice bianco si deve rispondere con totale sincerità , è indispensabile per poter accedere al passaggio successivo.

Ecco che finalmente arriva il mio turno. Mi reco all’altare al cospetto di un altro camice bianco, un’altra donna grazie alla quale si compirà  la liturgia.

La comunione sarà  con Pfizer. E’ una comunione intima e tecnologica al tempo stesso. 

Il prodotto somministrato non è un sottile strato di carboidrati, banale prodotto industriale economico, ma un costoso, sofisticato e purissimo concentrato di materiale genetico assemblato con precisione atomica e avvolto in un sottilissimo strato di nanoparticelle lipidiche.

La somministrazione non è quella arcaica per via orale ma molto più intima e profonda. 

Dopo il rito ci si torna a sedere e si resta in silenzio a meditare su questa esperienza di trasformazione ed elevazione da novax a uomo che pian piano prende coscienza di essere ora abilitato ad odiarli, quei bastardi dei novax.

Quando arriva il momento ci si alza, sempre in silenzio, e ci si volge all’uscita. Prima di uscire ci si volta un’ultima volta, come ad imprimere nella mente quel posto e quel momento di transizione.

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